Vendere la guerra – Par. 1

Niente a segnalare. Qui all’Avana tutto è calmo. Non ci sarà guerra. Vorrei rientrare“.
La prego di restare. Provveda al reportage e alle illustrazioni, alla guerra ci penso io“.

Scambio di dispacci telegrafici tra l’inviato Freeric Remington e l’editore W.R. Hearst, alla vigilia dello sbarco dei rangers a Cuba, nel quadro della guerra ispano-americana, 1898.
Vendere la guerra

Informazione e guerre. Dal telegrafo meccanico alla propaganda nel Primo e Secondo conflitto mondiale.
Probabilmente non è un caso che il primo, moderno strumento di accelerazione della comunicazione – il telegrafo ottico o aereo, detto anche telegrafo a bracci snodati, inventato da Claude Chappe -, figlio di una rivoluzione, (quella francese), sia stato messo in funzione, nel 1793, al servizio di una guerra, allo scopo di collegare tra loro, in tempo reale, le armate dislocate tra Parigi e Lilla. L’inventore, per la verità , aveva raccomandato alla Convenzione alcuni usi civili del suo strumento, tra cui il lancio di una gazzetta. Le autorità concessero tuttavia, oltre all’utilizzazione militare, un’unica applicazione civile, la trasmissione rapida dei risultati della lotteria (anche per combattere le speculazioni e le truffe che giocavano sul grande ritardo nella comunicazione dei numeri.)

La telegrafia francese si dotò della più estesa rete al mondo (prima della nuova rivoluzione introdotta dal telegrafo elettrico), con uno sviluppo di cinquemila chilometri e 534 stazioni di semafori.
Accade così, ha rilevato Yves Stourdzè, che una delle più innovative attrezzature del secolo per mettere le persone in contatto tra loro “fu finanziata, e utilizzata, dal ministero della Guerra, dal ministero dell’Interno, e dalla Lotteria nazionale”.
In effetti due sono le costanti che accompagnano lo sviluppo, nell’era industriale, delle tecniche di comunicazione: la guerra e la censura.

Che la strategia militare si servisse dell’informazione (meglio: della falsa informazione) per realizzare i suoi obiettivi era evidente per lo meno dall’epoca dell’assedio di Troia, quando il cavallo costruito da Ulisse fu fatto penetrare con l’inganno nelle mura della città .

Di falsi segnali ed errate informazioni si era servito l’ateniese Temistocle, nel 490 avanti Cristo, facendo sapere al Re dei Re, Serse, che la flotta greca si era allontanata dalla rada di Salamina; e fu la catastrofe dei Persiani. Così come Turenne, nel 1674-75, sbaragliò le truppe imperiali facendo loro pervenire la falsa notizia che il suo esercito, durante la campagna d’Alsazia, si era acquartierato per l’inverno a ovest dei Vosgi. Persino alle radici della grande vittoria di Napoleone ad Austerlitz nel 1805, contro l’imperatore di Russia e quello d’Austria, gli storici hanno individuato una “strategia della disinformazione”, mediante messaggi lanciati attraverso la “gesticolazione militare” dell’armata napoleonica, volti a far creere erroneamente ai nemici che, preoccupato per essersi spinto troppo in là nell’Europa centrale, il francese si preparava ad una precipitosa ritirata.

In tutti questi casi si trattava pur sempre di un uso mirato dell’informazione, volto ad ingannare gli Stati maggiori. Solo successivamente – quando “le retrovie diventeranno più importanti del fronte” – la notizia (falsa o manipolata) assurgerà al ruolo di grande protagonista dei conflitti, sino a trasformarsi in “un’arma strategica”, secondo la celebre definizione di Giovanni Paolo II durante la Guerra del Golfo.

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