01. Gli anni della formazione

Sul finire degli anni 80, James Peck fece una lunga intervista a Noam Chomsky, intervista che, a partire da oggi, proponiamo alla lettura. Dall’intervista – di grande interesse -, pubblicata nel volume Linguaggio e Libertà – nella collana Net -, a cura di Marco Tropea editore – che raccoglie i più importanti scritti di Chomsky – emergono la biografia e il pensiero dell’intellettuale considerato il più famoso e autorevole dei nostri tempi.
Partendo da domande che indagano gli anni della scuola e gli strumenti della formazione, James Peck suscita il racconto di Chomsky, che dice di sè con straordinaria vivezza e ricchezza di spunti. Intitoleremo ogni brano della intervista in relazione all’argomento in essa trattato, e la proporremo per intero in pubblicazioni successive, data la sua lunghezza. Speriamo di incontrare il vostro interesse nel proporvela: pur datata, essa rimane certamente uno dei documenti che meglio illustrano la personalità di Noam Chomsky.

Lei ha accennato raramente, nei suoi scritti, alle esperienze che l’hanno condotta alle scelte politiche che ha fatto, anche se, mi sembra, tali esperienze possono essere state formate e profondamente influenzate dal suo passato.
No. Non ci ho mai pensato molto

Per farle un esempio, sono rimasto colpito dalla rarità dei suoi riferimenti alla letteratura, alla cultura, intesa come lotta volta alla ricerca, attraverso mezzi artistici, di forme di vita alternative; di rado lei nomina un romanzo che l’abbia influenzata. Perchè? Insomma, ci sono state opere letterarie che abbiano davvero influito su di lei?
Certo che ci sono state, ma è vero che di rado tratto di questi argomenti. Non scrivo di me stesso, e temi simili non mi sembrano pertinenti ai problemi di cui mi occupo. Vi sono cose che hanno risonanza in me quando le leggo, ma mi sembra che i miei sentimenti e le mie posizioni si siano in gran parte formati prima che mi interessassi di letteratura. Anzi, ho sempre resistito, di proposito, alla tentazione di lasciare che la letteratura influenzasse le mie posizioni e convinzioni riguardo alla società e alla storia.

Una volta lei ha detto: Non è improbabile che la letteratura possa permetterci di penetrare in quella che talvolta viene chiamata la persona umana nella sua interezza assai più profondamente di quanto non possano consentirci tutte le speculazioni scientifiche immaginabili.
Questo è assolutamente vero e ne sono convinto. Anzi, mi spingerei sino a dire che non solo è probabile, ma quasi certo. E tuttavia, se voglio comprendere, poniamo, la Cina e la sua rivoluzione, devo esser cauto con le descrizioni di tipo letterario. Badi, non c’è dubbio che da bambino, leggendo libri di argomento cinese, ne trassi una forte impressione: penso a Rickshaw Boy, per esempio. Una forte impressione, ripeto. Fu tanto tempo fa e non ricordo nulla del libro in sè, ma ho ancora viva l’impressione che ne ricevetti. E non dubito che per quanto mi riguarda, come è il caso di chiunque altro, gran parte delle mie capacità di percezione fu accresciuta e mutata dalla letteratura, o meglio dalle letterature: l’ebraica, la russa e così via. Ma alla lunga si deve affrontare il mondo nella sua realtà sulla base di altre fonti di informazione che si possono meglio apprezzare e valutare. Le opere letterarie possono esaltare l’immaginazione, stimolare l’intuito e potenziare le capacità di comprensione, ma certamente non forniscono prove e dati che occorrono per trarre conclusioni e per convalidarle.

Ma possono avere importanza nel sensibilizzare un individuo a campi dell’esistenza che altrimenti sarebbero ignorati.
Sa, le persone sono diverse tra loro, come è giusto che sia, anche per il tipo di stimoli che mette la loro mente all’opera.

Mi sembra un po’ reticente a questo proposito.
Be’, sono reticente perché non mi sembra di poter stabilire stretti collegamenti tra la mia opera e la letteratura. Posso ricordare cose che ho letto e che hanno prodotto un effetto formidabile sul mio spirito, ma francamente non saprei dire se abbiano cambiato il mio modo di capire e i miei atteggiamenti in misura significativa.

Che scuole ha frequentato da bambino?
Mi mandarono fin dall’infanzia, dall’età di due anni e fino alla fine delle primarie, intorno ai dodici anni, a una scuola sperimentale di indirizzo progressista. Poi sono stato iscritto a una secondaria normale, diremo accademica, il cui scopo era la preparazione dei ragazzi all’università.

A New York?
A Filadelfia. Quelle esperienze, sia alla primaria sperimentale sia alla secondaria accademica, una scuola del tutto elitaria, sono state molto istruttive per me. Ad esempio, fu soltanto alle superiori che seppi di essere uno studente bravo. Il problema non si era mai posto, prima. Restai molto sorpreso quando, a scuola, scoprii che prendevo il voto più alto in ogni compito scritto o interrogazione, cosa cui si attribuiva grande importanza. Fino ad allora, non mi era mai capitato di pensarci. In realtà , ogni allievo nella scuola che avevo frequentato in precedenza veniva considerato, per un verso o per l’altro, un ottimo allievo. Fra gli scolari non c’era concorrenza, non c’erano graduatorie. Non ci si pensava nemmeno. Non mi era mai venuto in mente di domandarmi come si potesse essere giudicati in relazione agli altri allievi. Insomma, in quella particolare scuola, che a mio parere era molto buona e che stando alla mia esperienza seguiva sostanzialmente gli indirizzi pedagogici di Dewey, ciò che veniva tenuto in maggior conto era la creatività , non nel senso di imbrattare un foglio di carta da disegno con questo o quel colore, ma di dedicarsi con profitto al tipo di lavoro manuale o intellettuale a cui si era più interessati. Ecco, venivano incoraggiati gli interessi, i bambini erano spronati ad averne e a coltivarli. I piccoli allievi lavoravano da soli o con qualche compagno. C’era un’atmosfera vivace, c’era la sensazione che tutti quanti facessimo qualcosa di importante. Non che fossimo un gruppo di individui selezionati. In quella scuola c’era una normale mescolanza: qualche allievo superdotato, e altri con qualche problema, ragazzi che erano stati espulsi dalla scuola pubblica. Eppure, almeno da bambino questa era la mia impressione ammesso che vi fosse competizione, era solo con noi stessi. Che cosa riesco a fare? era la domanda che ci ponevamo. Ma non ne nascevano tensioni, e certamente non si stabiliva un ordine gerarchico. Cosa molto diversa da ciò che noto nei miei figli, i quali hanno imparato subito chi nella loro classe era bravo e chi tonto, chi era nella categoria superiore e chi in quella inferiore. Per loro era un argomento importante. Be’, come ho detto dopo le primarie andai a un istituto pubblico e orientato accademicamente, che godeva ottima fama, ma che a me procurò una serie di traumi. Il primo, fu appunto quello di scoprire che ero uno studente bravo, cosa cui non avevo mai pensato. E mi trovai immerso nel sistema delle classifiche di valore e di prestigio che era appannaggio di tale condizione. Ricordo la forte rivalità e l’irregimentazione. Ma tirate le somme, mentre ricordo un sacco di cose delle mie scuole primarie e del lavoro e dello studio che vi facevo, praticamente della secondaria non ricordo nulla. C’e’ nella mia memoria un vuoto assoluto al riguardo, salvo il clima emozionale, che era assolutamente negativo. Se ripenso a quella mia esperienza, vi trovo un buco nero. Ma cosi la scuola nella maggioranza dei casi. Un periodo di irregimentazione, di controllo che in parte comporta un indottrinamento vero e proprio che inculca nel discente un sistema di falsi valori e convinzioni. Ma più di tutto nuoce, a mio avviso, la maniera, gli strumenti con cui si impedisce e si blocca la possibilità di pensare in modo creativo e indipendente; nuoce l’imposizione di gerarchie e della competizione, la necessità di eccellere, non nel senso di fare il meglio che puoi, ma di far meglio del tuo compagno di banco. C’e’differenza tra scuola e scuola, naturalmente, ma credo che questi aspetti negativi siano comuni alla maggior parte degli istituti educativi. E io so che non sono necessari perchè per fare un esempio, la scuola cui andai da bambino era del tutto diversa.
Credo che le scuole potrebbero essere indirizzate e gestite in modo assai differente. Sarebbe importante, ma in realtà non penso che una società fondata su istituzioni gerarchiche e autoritarie tollererebbe a lungo un sistema scolastico simile. Come hanno fatto notare Sam Bowles e Herb Gintis, potrebbe essere tollerato per l’elite, in quanto i suoi membri devono imparare a pensare e a creare autonomamente. Ma non per la massa della popolazione. Vi sono ruoli che la scuola svolge nella società che possono essere altamente distruttivi. –

a seguire: Gli anni della formazione universitaria


James Peck (19 dicembre 1914 – 12 luglio 1993 ) era un attivista americano che praticò la resistenza non violenta durante la seconda guerra mondiale e nel Movimento per i diritti civili . È l’unica persona che ha partecipato sia al Journey of Reconcelietion(1947) che al primo Freedom Ride del 1961, [ ed è stato definito un eroe dei diritti civili bianchi. ] Peck sostenne la disobbedienza civile nonviolenta per tutta la sua vita, e fu arrestato più di 60 volte tra il 1930 e il 1980. (da Wikipedia)

Avram Noam Chomsky (Filadelfia, 7 dicembre 1928) è un linguista, filosofo, storico, teorico della comunicazione e anarchico statunitense.
Professore emerito di linguistica al MIT, è riconosciuto come il fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, spesso indicata come il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX Secolo

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