La camera nera – cap. III, Par. 2

Nei confronti dell’informazione come rete di collegamento all’interno di quella che oggi definiremmo “società civile”, sempre grande è stata la diffidenza dei poteri politici, con poca o nulla distinzione tra quelli più retrivi e quelli illuminati.
Si prenda il caso della Posta. Re Luigi XI in Francia, nel 1464, e quasi contemporanemente (nel 1481), il re d’Inghilterra, ispirandosi al modello romano, a sua volta mutuato da quello della Persia di Ciro il Grande, diedero vita ai primi sistemi postali nazionali: “mastri di posta” e stazioni di cambio all’incrocio tra le varie lineee di collegamento. Era l’Editto di Luxies.
Anche i vassalli venivano autorizzati a fare uso dei corrieri del re: ma in questo caso il re si riservava il diritto di aprire e leggere le lettere.

Il servizio di corrispondenza, insomma – il più colossale servizio di informazione privata conosciuto fin’allora dalla storia – era sotto il controllo diretto del sovrano.
Con una sola eccezione: la Germania di Federico II che, malgrado le proteste dei principi e delle città libere anseatiche, decise di affidare il servizio postale ad una famiglia bergamasca, Tasso o Taxis (poi nota in Germania come Thurn und Taxis) che riuscì a tenerlo, tra guerre, invasioni e cambiamenti di regime, per tre secoli, prima di essere costretta a lasciarlo nel 1867 al formarsi di uno Stato unitario.

Ma anche i bergamaschi dovevano render conto al re: privati erano sì profitti, ma statale e sovrano il potere sulla rete informativa postale.

Strategie militari statali e comunicazioni tra i cittadini erano considerate evidentemente coincidenti, al punto che il grande organizzatore della macchina amministrativa postale di Stato, il francese Louvois, sovrintendente generale alle Poste dal 1668 al 1691, ministro di Luigi XIV, è anche passato alla storia come uno dei teorici dell’esercito moderno.

Sin dai tempi di Luigi XIII, sotto la spinta della psicosi delle cospirazioni, nazionali e internazionali, fu creato in Francia il “Cabinet noir”, la Camera nera, un ufficio presso l’Hotel des postes dove la segretezza della corrispondenza era sistematicamente e scientificamente violata. Il sistema era a tutti noto e da tutti silenziosamente accettato.
Bisognò attendere i “cahiers de doleances” alla vigilia della rivoluzione del 1789 perchè fosse apertamente denunciato come “una delle più assurde e infami invenzioni del dispostismo”.

Tuttavia la Camera nera si rivelerà un’invenzione alla straordinaria capacità di diffusione e dal radioso futuro. Riuscì a sopravvivere alle dichiarazioni dei diritti dell’uomo, alle Costituzioni e alle leggi. Fu particolarmente cara a Napoleone e agli zar russi. Uno dei funzionari zaristi, zelante operatore del “Cabinet noir”, ebbe a scriverne con orgoglio: “E’ lecito dire che in tutto il mondo nessun “Cabinet noir” ha lavorato bene come quelli della Russia, e in particolare quello di San Pietroburgo”.

Nel 1917, allo scoppio della rivoluzione, la Camera nera era ancora in attività . E, dopo averne denunciato il ruolo, il potere sovietico la reintrodusse e la perfeziona, affiancandola a altre raffinate organizzazioni censorie di massa quali quelle sulla stampa e sulla produzione letteraria (Glavlit).
L’odissea di una lettera spedita a Mosca da un paese estero è stata minuziosamente ricostruita da Jaures Medvedev, scienziato e dissidente, negli anni ’70: egli constatò che, nonostante l’impetuoso sviluppo dei mezzi di comunicazione, il tempo di recapito della posta ordinaria dall’Inghilterra alla Russia, nell’ultimo cinquantennio, si era curiosamente allungato, da quattro giorni a diciannove-ventuno: a testimonianza del perfezionamento della tecnica: in questo caso, della tecnica della Camera nera.

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