La costruzione dell’incertezza e dell’insicurezza

“I meccanismi all’opera dietro la costruzione dell’incertezza e della insicurezza sono globali, restano al di là della portata delle istituzioni politiche esistenti; soprattutto al di là della portata delle autorità statali elette. Il mondo attuale e’ tenuto insieme da una serie di reti sovrapposte: rete di borse valori, di canali televisivi, di computer o di stati. Le reti sono luoghi di flusso: flusso di potere, capitali, informazione; un processo ormai essenzialmente libero da vincoli spaziali e temporali. La politica, invece, rimane un fatto locale e poiché il linguaggio della politica e’ l’unico che ci consenta di parlare di cure per le miserie comuni, la classe politica dimostra una tendenza naturale a cercare rimedi in un ambito prossimo al terreno familiare dell’esperienza quotidiana. Esiste una disposizione delle elite politiche a localizzare le cause di ansia, insicurezza esistenziale e incertezza, nella preoccupazione per le minacce alla sicurezza personale. Questo spostamento e’ politicamente (elettoralmente) alettante: poiché le radici della insicurezza affondano in luoghi anonimi e inaccessibili, non e’ chiaro che cosa i poteri locali possano fare per porvi rimedio. Se si riflette sulle promesse elettorali di migliorare la vita di tutti aumentando la flessibilità dei mercati del lavoro, favorendo il liberismo, creando condizioni più alettanti per i capitali stranieri ecc. , si possono cogliere casomai i segni premonitori di una maggiore insicurezza ed incertezza. I governi non possono promettere ai cittadini una esistenza sicura e un futuro certo; non possono che alleviare almeno in parte l’ansia accumulata (approfittandone anche ai fini elettorali) con l’esibire la loro energia in una guerra contro gli stranieri penetrati senza invito nel giardino di casa. Tradurre le croniche preoccupazioni per la sicurezza esistenziale dell’individuo nella necessità di combattere il crimine reale o potenziale e quindi garantire la sicurezza personale di tutti e’ uno stratagemma politico che può recare vantaggi elettorali. Ma la paura non e’ certo una novità per la vita umana. Ogni epoca della storia si e’ differenziata dalle altre per aver conosciuto forme particolari di paura; ogni epoca ha dato un nome ad angosce conosciute da sempre. Le minacce sembrano essere state ostinatamente le stesse. Freud le ha classificate in modo definitivo: “Siamo minacciati dalla sofferenza da tre versanti: dal nostro corpo, condannato al declino e al disfacimento che non può funzionare senza il dolore e l’ansia come segnali di pericolo; dal mondo esterno che può scagliarsi contro di noi con la sua terribile forza distruttiva; infine, dalle nostre relazioni con gli altri”. Industria ed esercito, intesi come fabbriche di certezza che esorcizzava la paura, come agenzie di sorveglianza, in grado di fornire solidi fondamenti e disciplina, hanno definitivamente perduto la loro utilità . La riproduzione delle condizioni della vita sociale non e’ più conseguita con strumenti societari, ma e’ in gran parte privatizzata, sottratta al dominio delle politiche statali e delle decisioni pubbliche. La privatizzazione, in questo caso, indica che i poteri centrali stanno disperdendo le loro responsabilità e che le questioni relative alla integrazione sociale e alla riproduzione sistemica sono progressivamente lasciate al libero gioco della iniziativa privata. In realtà privatizzazione significa che i processi sono ora largamente de istituzionalizzati: i servizi per chi vuole sfuggire l’irresolutezza e l’incertezza dell’esistenza non sono più forniti istituzionalmente o gestiti dallo stato. Così la paura dell’incertezza, non più mitigata, si mostra alle sue vittime in tutta la sua durezza. Invece di suscitare un rapido adeguamento alle politiche amministrative, la paura della mancanza di certezza costringe gli individui ad un frenetico sforzo di autoformazione e di autoaffermazione. L’incertezza deve ora essere vinta con i propri mezzi: l’insufficienza di spiegazioni e di rimedi esterni deve essere compensata da quelli costruiti in proprio. All’individuo spetta il compito/dovere di autogestirsi nelle proprie attività , di esaminare e controllare se stesso in modo minuzioso e di badare alla propria autoformazione. L’individuo diventa il sorvegliante e l’insegnante di se stesso. Non ha più il compito di uniformarsi che motiva l’individuo ad impegnarsi nei doveri e nelle fatiche della vita, ma una sorta di meta dovere: l’incombenza di mantenersi sempre idonei e pronti ad assumere nuovi compiti/impegni. Il compito/impegno di non diventare antiquato, esaurito, logoro; di non fermarsi per periodi di sosta troppo lunghi, di non ipotecare il futuro. C’e’ una evidente affinità elettiva tra la privatizzazione della gestione della incertezza e il mercato che provvede a servire il consumo privato. Una volta che la paura dell’incertezza e’ stata riformulata nell’ansia dell’inadeguatezza personale, le proposte del mercato diventano irresistibili: esse vengono accolte e scelte spontaneamente, senza bisogno di alcuna coercizione e di alcuna opera di indottrinamento. La paura dell’inadeguatezza e la frenesia del consumatore sono strettamente intrecciate. Il corpo moderno, il corpo del lavoratore/soldato era abilmente manipolato da forze esterne. L’unico contributo richiesto al fisico consisteva nell’essere in grado di provvedere alle forze indispensabili per rispondere con il vigore necessario agli stimoli. Questa capacità era chiamata “salute”. In ogni caso il dispendio necessario a salvaguardare la salute e ad allontanare la malattia si riduceva ad un problema di alimentazione: la quantità di cibo sufficiente ad offrire energia muscolare adeguata agli impieghi lavorativi e militari. Il corpo e’ oggi considerato un corpo che consuma e la misura della sua buona condizione sta proprio nella capacità di consumare ciò che la società dei consumi ha da offrire. Il corpo postmoderno e’ innanzitutto un recettore di sensazioni: assorbe ed assimila esperienze e la sua attitudine e capacità ad essere stimolato lo trasforma in uno strumento di piacere. La presenza di una tale attitudine/capacità e’¨ chiamata benessere (fitness); al contrario lo stato di mancanza di benessere significa debolezza, insufficienza, depressione. Essere depressi significa non aver voglia di uscire e divertirsi: in un modo o nell’altro i disordini diffusi e pia’ preoccupanti sono i disordini del consumo.” – dagli scritti di Bauman Zigmunt Bauman: La Società dell’incertezza – Il Mulino, 1999 Zigmunt Bauman sarà ospite del Festival Filosofia in programma a Modena, Carpi e Sassuolo dal 14 al 16 settembre prossimi.

Dal sito www.psicoanalisiculturale.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *