La cronaca politica tra finction e metafisica

Nell’anno 2006 nacque una nuova rivista – “AideM” creatura della associazione “Megachip per la democrazia nella comunicazione”; ha ospitato pregevolissimi contenuti sul tema, e in questa sede ne pubblicherò. Questo che segue è il primo che scelgo di proporre.


La cronaca politica tra finction e metafisica

Neanche il quarto potere è più quello di una volta. Nell’Italia di oggi, l’analisi del linguaggio delle cronache giornalistiche e dei titoli di rubrica che le introducono (Il Retroscena, Il Personaggio )conferma in ogni dettaglio, verbale come visivo, che l’informazione si è ormai rifatta il look.La bella favola della libera informazione, quella emersa dal secolo dei lumi, è finita . (1) . Questa l’amara sentenza di un libro recente: il quarto potere non esiste più, per ragioni di struttura economica, di assetti di proprietà intrecciati tra stampa, tv e capitale finanziario. Nelle pagine che seguono tratteremo temi in apparenza più leggeri: che cosa hanno a che vedere, infatti, coi grandi problemi economici del nostro tempo, il linguaggio delle nostre cronache giornalistiche o i variopinti titoli di rubrica che queste cronache introducono?
Ebbene, l’idea che qui si svilupperà è che c’è un nesso stretto. Che la confezione del notiziario a stampa (come del resto di quello televisivo), nell’Italia di oggi, sempre più obbedisce a un imperativo di fondo: mostrare in ogni dettaglio, verbale come visivo, di non essere quarto potere. Mostrare che è finita, appunto, la bella favola della missione civile del giornalismo inteso, illuministicamente, come quarto potere.Il colore delle rubriche
Dopo il recente restyling tipografico del Corriere della Sera, le pagine di cronaca politica dei due principali quotidiani di diffusione nazionale si somigliano molto. Gli articoli sono perlopiù introdotti da una sorta di pre-titoli ricorrenti (che chiameremo, benchè con qualche approssimazione, titoli di rubrica) che scandiscono la pagina. Quelli che introducono i pezzi principali sono in azzurro o in bianco su sfondo azzurro, mentre in rosso si introducono trafiletti non firmati o estratti dal contenuto dell’articolo, ripetuti e messi in evidenza fuori dalle colonne di questo. L’edizione di Repubblica del 12 aprile 2006, ad esempio, introduce l’articolo a p. 2 sulla ripartizione dei seggi parlamentari all’indomani delle elezioni politiche con un “la sfida”; seguono a p. 3 “il retroscena”, a pag. 4 “Il Quirinale” e “il personaggio”, a pag. 6 “gli scenari” e “il caso”, a pag. 7 “il protagonista” e l’associazione”, a pag. 8”il Viminale” e “le regole”, a pag. 9 “il Vaticano”, l’intervista” e di nuovo “il personaggio”; a pag. 10 “la Quercia” e “la Base”, a pag. 11 “il colloquio”, a pag. 13 “l’intervista” e “il caso”, e così via (le pp 5 e 12 mancano di questi titoletti solo perchè interamente occupate da pubblicità ). Sul Corriere della Sera, con minime variazioni sui colori, la scena si ripete: ad esempio il 13 aprile 2006 si trovano alle pp 2-3 “Primo Piano”, “il caso”, “i tempi”, l’incontro e i commenti, “le riforme”, “Dietro le Quinte”, ecc.
Molti di questi titoli di rubrica sono puramente esornativi: cos’è “l’intervista”?per introdurre unâ intervista?
Ma alcuni sono invece interessanti, sintomatici della struttura narrativa e dell’impianto concettuale della cronaca politica del giornalismo italiano contemporaneo. Per questo è utile tenerli presenti, anche quando si passa a considerare il contenuto dei pezzi.

Il cronista intrinseco e la fonte scomparsa
Consideriamo l’apertura di due articoli della citata edizione del CdS:

ROMA – Silvio Berlusconi ha in progetto una mossa geniale Ieri mattina Giuliano Ferrara ha riempito di curiosità e di meraviglia i suoi fedelissimi. Con quel sorriso sornione e l’aria di chi sa di più di quanto dice, ha rivelato che il Cavaliere sarebbe pronto a spogliarsi del suo conflitto d’interessi, cedendo i beni ai figli . (CdS, 13.4.2006, p. 5)

Sopra il titolo dell’articolo (di F. Verderami, Conflitto d’interessi, il piano di Silvio: spogliarsi delle tv donandole ai figli) un filo tipografico sormontato dal titolo di rubrica in maiuscoletto azzurrino: “Il Retroscena”. E ancora

ROMA Solo l’Udc, nella Casa delle Libertà , prende vistosamente le distanze dalla denuncia di Silvio Berlusconi sui brogli elettorali. Pier Ferdinando Casini ufficialmente tace. Ma il suo è un silenzio indicativo. Spiega il Presidente della Camera ai suoi: “Qui c’è gente che parla troppo, ma c’è bisogno di qualcuno che pensi(…) (CdS, 13.4.2006, p. 2)

Anche qui un maiuscoletto azzurrino sopra il titolo dell’articolo (AN e Lega si schierano con il Cavaliere. Ma Casini ai suoi: noi non ci stiamo, siglato M.T.M.) quello della rubrica: “Dietro le Quinte . I titoli di rubrica, in questo caso, non solo non sono privi di funzione ma instaurano invece una relazione significativa con il contenuto dell’articolo. Questo contenuto corrisponde a dichiarazioni riportate con modalità alle quali il lettore italiano è ormai assuefatto. Modalità che però, se ci si riflette un attimo, rivelano subito la loro anomalia. Se Ferrara ha affidato le sue rivelazioni ai “suoi fedelissimi”, se Casini ufficialmente tacee parla solo con i suo, ci si chiede come facciano i cronisti a conoscere il contenuto di questi colloqui riservati, ed a conoscerlo con tanta precisione da poter riportare quelle considerazioni private al discorso diretto, fra virgolette. E’ una finzione, ovviamente. Possiamo ragionevolmente supporre che l’ufficio stampa del personaggio in questione abbia contattato il giornalista passandogli le “rivelazioni”perchè queste animassero l’agenda politica del giorno dopo.
Su questa finzione restano delle riserve. Con una tale procedura si cancella ogni riferimento alla fonte delle notizie, che al lettore non viene indicata. L’effetto è quello di qualificare la voce narrante del pezzo come interna alla cerchia confidenziale del potente di turno. Si suggerisce dunque che il giornalista svolga il suo lavoro anzichè alla luce del sole raccogliendo informazioni, dichiarandone la fonte, vagliandone l’attendibilità e discutendone il merito “Dietro le Quinte”, per cogliere “Il Retroscena”, come suggeriscono con dovizia di maiuscole retoriche i titoli delle rubriche.

Forma e sostanza
Questo stile corrisponde alla sostanza: si vuol suggerire, con la struttura testuale (rubriche e modalità di riporto), intrinsechezza, e si sa che il giornalismo (politico) italiano, della carta stampata come televisivo, è pochissimo autonomo meno che altrove e meno di quanto si desidererebbe rispetto agli ambienti politici di cui riferisce. In Italia può infatti accadere che il direttore di tg festeggi le proprie nozze nella villa del politico, senza che la sua carriera ne sia pregiudicata (anzi) . O può accadere che in fascia di massimo ascolto conduca un programma di approfondimento politico, sulla rete ammiraglia del servizio pubblico, un ex dipendente del presidente del Consiglio, già suo addetto stampa. Che infatti, intervistando quest’ultimo nella sua nuova veste, in realtà continua a comportarsi da dipendente, lo corteggia con domande che, agli antipodi della critica, sono assimilabili piuttosto all’attività dell’alzatore nella pallavolo. Per non fare nomi, è questo il caso di Riccardo Berti che, nella puntata di “Batti e Ribatti” del 13 dicembre 2005 poneva a Silvio Berlusconi domande del tipo: “Presidente, si dice che il miglior governo sia quello che entra il meno possibile nella vita dei cittadini. Qual è il suo bilancio? (risposta: Beh, è ampiamente positivo. Segue elenco di successi, senza alcun contraddittorio.) suggellando infine l’intervista che secondo copione è chiusa ogni sera da una citazione â con le parole seguenti: Winston Churchill scriveva: La responsabilità è il prezzo della grandezza.

Certo, tra i cronisti politici italiani non tutti sono Riccardo Berti: non tutti sono addetti stampa prestati (fittiziamente) al giornalismo indipendente, ovvero giornalisti formalmente indipendenti ma addetti stampa in pectore. Tuttavia, questo tipo antropologico abbonda, e la forma testuale della cronaca politica del quotidiano, con le rubriche intitolate Il Retroscenao Dietro le Quinte, contribuisce a selezionare piuttosto lo sguardo complice dell’insider che non quello distanziato (e dunque almeno potenzialmente critico) dell’indipendente.

Dall’intrinsechezza all’onniscienza: effetti metafisici
Da questo sguardo troppo interno, che qualifica la voce narrante del singolo articolo di cronaca politica come avente accesso alla cerchia privata , se non addirittura al flusso di coscienza del politico di cui riferisce, si genera un effetto solo apparentemente paradossale di irraggiungibile lontananza rispetto al lettore, una lontananza che sfuma nel trascendente. Questo effetto può essere colto se si considera globalmente la pagina politica, composta con tasselli di cui si è dato un breve saggio al par. 2 . Se il singolo cronista, estensore del singolo pezzo, sa quel che ha pensato e detto a pochi intimi il politico x, nel complesso una pagina politica che si costituisce di pezzi siffatti assume un valore aggiunto rispetto alla somma delle sue parti.
Una testata giornalistica è crucialmente definita dal trattamento dell’attualità politica ha una sua fisionomia globale, una sua voce; il giornale parla nel suo insieme e assume nel suo insieme la funzione di enunciatore (ovvero, di garante della verità di quanto detto o, tecnicamente, enunciato) , quella funzione che nel romanzo svolge il narratore. (2)
La funzione narratore può essere connotata in modi molto diversi, a seconda delle strategie narrative. Ho argomentato altrove, ad esempio, che il giornalismo italiano contemporaneo produce spesso effetti di “nascondimento del narratore”attraverso l’uso del discorso indiretto libero, come il romanzo naturalista a partire dal secondo Ottocento e diversamente da quanto succede in altre tradizioni giornalistiche che del discorso indiretto libero non fanno uso. (3) . Un esempio tipico è quello dei resoconti dei fatti di mafia, intessuti di sicilianismi e di altri materiali linguistici riconducibili al codice mafioso. Così ad es. l’apertura del pezzo di Giuseppe D’Avanzo, Vi racconto la vera storia di Provenzano, Repubblica 14.4.2006, pp 1 e 14 (titolo di rubrica, manco a dirlo, “il personaggio” ) .

“Quarantatre anni fa a Corleone. Era il 18 settembre del 1963. Quella notte Luciano Liggio chiude i conti con quei fitusi degli amici del dottor Michele Navarra. Una sparatoria dietro l’altra, fatto secco Francesco Streva, Biagio Pomill”…eccetera

Ecco dunque, per parlare di mafia, le parole del mafioso: quei “fitusi”o “gli amici di” per indicare fazioni criminali, e vari colloquialismi,/gergalismi (“chiude i conti”, “fanno secco”). E’ una modalità narrativa sistematica, come mostrano gli estratti da un altro articolo dello stesso autore, sempre relativo alle vicende di Provenzano (catturato il giorno prima): (4)

Ci è stato detto che Binnu era “una sola cosa”con quell’altro viddano (contadino, zotico) di Totò Riina; una Cosa Nostra buona, accomodante, interessata soltanto a fare piccioli, a metter da parte denaro;
Sappiamo che una differenza tra Riina e Provenzano c’è sempre stata. U zu Totò vuole tutto, vuole tutta la roba per sè, tutto meu, tutto meu. L’altro, l’omino canuto che abbiamo visto in tv, è più assennato. “Mangia e fai mangiare”, va dicendo;Provenzano, più lungimirante, annusa gli affari moderni: costruzioni, forniture ospedaliere e munnizza (rifiuti) .

L’inserzione delle parole d’ambiente, attribuibili alla voce dei personaggi di cui si parla, è insistita e si produce secondo varie modalità : a volte si riportano in corsivo forme siciliane, corredandole di una traduzione tra parentesi; in altri casi le virgolette includono espressioni volte in italiano ma rimandanti al codice mafioso (e il sicilianismo si scorge sotto una trasparente traduzione, ad es. in “una sola cosa”); infine, succede anche che il sicilianismo è nelle citazioni ora addotte, coi nomi di persona entri nel testo direttamente, senza nessuna evidenziazione e senz’alcuna spiegazione: Binnu, Uzu Totò .

L’assunzione delle parole del personaggio e del suo ambiente, così insistita, serve al meccanismo della focalizzazione interna (5) ; il punto di vista della narrazione si fa interno alle vicende dei personaggi e della loro comunità . La quale. Anzichè esser presentata come un oggetto di conoscenza distante “ e coscientemente distanziato dal cronista sfuma insensibilmente nella “nostra”, come mostrano le prime persone plurali nelle espressioni che rimandano all’acquisizione delle conoscenze sui fatti narrati (sappiamo che , ci è stato detto , abbiamo visto ) . Anche qui nulla è dichiarato circa il processo di acquisizione, nulla sulle fonti: in questa prima plurale si fonde la prospettiva cognitiva del cronista con quella dei lettori da informare e con quella di chi è già informato in quanto partecipe delle vicende: noi lettori, il giornalista e gli ambienti mafiosi diventiamo “una sola cosa” . L’effetto testuale è lo stesso del pezzo di cronaca politica: la voce del cronista suona “interna”, l alla cerchia di Casini e Ferrara, qui a quella di Riina e Provenzano. Ma – come s’è detto “ proiettato sulla globalità della testata, l’effetto testuale cambia necessariamente di segno. Se l’enunciatore Repubblica o Corriere ha accesso, complessivamente, al punto di vista di tutti i personaggi di cui narra, in definitiva esso si presenta al lettore come quel narratore impersonale onnisciente che caratterizzava la prosa romanzesca del racconto classico, prenaturalistico. Invece di parlarci, caso per caso, di quel che è successo e di come lo si è accertato da una prospettiva calata nel reale, in modo dichiarato e verificabile, coi singoli narratori interni e col complessivo narratore onniscente, il giornale italiano ci si presenta come metafisicamente intrinseco alla discussione politica (così come ai fatti di mafia) e quindi come un’entità trascendente.

Così facendo, contribuisce a presentare i fatti del mondo e in particolare la discussione politica come qualcosa cui solo un punto di vista trascendente può avere realmente accesso. Il lector in fabula, il lettore programmato da questo tipo di testo è per definizione escluso dal gioco: è agli antipodi, quindi, del lettore cittadino interessato alla vita della polis e desideroso di informarsi per influire su di essa, programmato dal giornalismo quarto potere bonae memoriae.

Di Michele Loporcaro
Da Aidem – Rivista di critica della comunicazione N. 1/2006


  1.  G. Chiesa M. Villari. Superclan. Chi comanda l’economia mondiale?, Milano 2003, p. 80.
  2. Sono questi i termini dell’analisi del discorso giornalistico nel cosiddetto modello “semiotico-enunciativo”: v. ad es. Michele Sorice, Dall’evento al testo, in Gianni Faustini, Le tecniche del linguaggio giornalistico, NIS, Roma 1995, pp. 53-113, alle pp. 81 sgg.
  3. Cfr. Miche Loporcaro, Cattive notizie, Milano 2005, capp. VII-VIII.
  4. Giuseppe D’Avanzo, Quella lunga inazione, “La Repubblica” 12.4.2006, pp. 1 e 31
  5. Come descritto da Gerard Genette, Figures III, Parigi 1972 (trad. it. Figure III. Discorso del racconto, Torino 1976, pp. 237 e sgg.)
  6. A livello del macrotesto giornale, quindi, l’effetto complessivo è quello che Genette chiama di non focalizzazione o focalizzazione zero, quella del racconto tradizionale. E questo benchè nei manuali di linguaggio giornalistico si trovi scritto che ” ovvio che la focalizzazione di grado zero ha senso solo nella narrativa, dove esiste un “autore” che inventa o, al più, in cronache storiche ma è del tutto inutilizzabile nel giornalismo” . (Sorice, art. cit., pag 90)

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